In questo periodo si parla molto di sostenibilità ambientale, di ecosistemi urbani, di riutilizzo di spazi e riduzione degli sprechi, probabilmente grazie alla forte ondata di consensi che queste tematiche hanno iniziato ad avere finalmente anche a livello politico attraverso la spinta di nuovi movimenti giovanili globali quali i Fridays for future e non solo.
La riduzione degli sprechi tra le altre è la tematica che sento a me più vicina, essendo entrata a far parte della mia routine quotidiana torinese, grazie alle attività di recupero consolidatesi nel territorio in alcuni mercati ortofrutticoli attraverso il progetto Repopp e la sensibilizzazione derivatami da altre realtà come la Casa del Quartiere di San Salvario. E’ proprio grazie all’esperienza diretta edalla sensibilizzazione che mi hanno trasmesso queste realtà e progetti che il mio modo di vedere alcune dinamiche di consumo e di vita quotidiana è radicalmente cambiato.
La mia ultima esperienza lavorativa ma anche la prima dopo quella che considero una mia ulteriore “maturazione” etica mi ha fornito una prova tangibile di questo cambiamento. Infatti, sono tornato da poco dal Trentino dove quest’anno mi sono recato per svolgere la classica raccolta delle mele, partito senza troppe pretese non sapevo cosa aspettarmi, ma due cose mi entusiasmavano: lavorare all’aperto e le mele, si perché sono il mio frutto preferito. Le mie aspettative in quest’ottica sono state ampliamente soddisfatte, anche perché vi assicuro che le mele appena raccolte hanno tutto un altro sapore, ma una cosa mi ha fortemente lasciato amareggiato: lo spreco che ho ritrovato anche qui.
“Prendi le mele più rosse e solo quelle perfette, quelle che hanno colore e non sono perfette buttatele a terra!” Questa fu la frase che diede il via al mio primo giorno di lavoro e sebbene la parte iniziale mi fosse chiara, essendo periodo di mele Gala, la seconda mi suscitò fin da subito qualche dubbio. Quand’è che una mela è considerata perfetta mi chiedevo, cosa la può rendere tale se non il suo sapore?
Così mio malgrado scoprii chiedendo al mio capo che una mela è perfetta quando ha una certa grandezza, quando ha una certa forma omogenea, quando non presenta bolle causate dal sole e quando non ha rientranze o deformazioni. Tutti aspetti che vi assicuro non vanno a cambiare minimamente il gusto finale del frutto e nemmeno ne velocizzano il deterioramento. La situazione in cui mi ritrovai mi fece molto riflettere. Ero vincolato nel lavoro che svolgevo a prendere delle scelte contrarie alla mia etica e a sottomettermi ad una catena alimentare che produce forti sprechi già alla base, a causa di un perfezionismo che trova terreno fertile nella società consumista e capitalista di oggi.
Il nostro continuo sviluppo alla ricerca del perfezionismo ci ha portati alla ricerca di modelli edonistici anche nel lato alimentare, che invece di portare forti benefici per la comunità, produce forti sprechi non valorizzando un surplus alimentare che potrebbe portare forte giovamento economico e di vita per molti. Una frase che ho sentito qualche sera fa inoltre durante un intervento proprio alla Casa del Quartiere di San Salvario mi ha fatto sorridere ed arrabbiare allo stesso tempo per quanto rispecchiasse appieno la nostra situazione: “Siamo abituati a conoscere solo tre gusti di mele, così che le altre anche quelle più naturali ci sembrano quasi cattive al primo morso”.